Lenticchie di Castelluccio

Lenticchia di Castelluccio

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Foto e testo a cura di Giuseppe Iacorossi
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Fiore della lenticchia - Foto W.Testa
Lenticchia essiccata - Foto G.Iacorossi
La lenticchia a fine lavorazione - Foto G.Iacorossi


ARATURA

Le lenticchie di Castelluccio di Norcia vengono coltivate nei piani carsici di Castelluccio all’interno del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, località di particolare bellezza naturalistica e paesaggistica, ad altitudini che arrivano fino a 1600 metri slm. Sono ricche di fibre alimentari, di ferro di proteine e sali minerali (alla Conferenza americana su epidemiologia e prevenzione cardiovascolare sono stati presentati i dati di una ricerca sulle abitudini alimentari di 12.000 uomini e donne, risultati: mangiare la lenticchia almeno quattro volte la settimana riduce l’incidenza delle malattie del cuore e l’infarto di quasi il 20%; tutti i legumi riducono i livelli di colesterolo e fanno anche diminuire la pressione). La lenticchia di Castelluccio è unica nel suo aspetto policromo e per le sue dimensioni piuttosto ridotte. Da qualche anno, la zona di produzione ha ottenuto il riconoscimento Europeo di Indicazione Geografica Protetta (IGP) per tutelare e salvaguardare il prodotto.
L'aratura e la semina avvengono in primavera, dopo lo scioglimento del manto nevoso che ha ricoperto per tutto l’inverno i campi. Da quel momento fino alla raccolta la lenticchia ha bisogno solo di pioggia. E’ tradizione di Castelluccio recarsi ogni anno a fine giugno in pellegrinaggio a Norcia nella chiesa di Santa Scolastica ad invocare la Santa affinché faccia piovere sulla lenticchia. Le tecniche di produzione della lenticchia sono le stesse che venivano adottate sin dai tempi antichi. Io personalmente ogni anno alla prima luna nuova di primavera semino a mano alcuni campi usando lo stesso lungo sacco di tela grezza e le stesse biffe (le biffe sono dei bastoni che si mettono a distanza regolare le une dalle altre per segnalare la parte del campo seminato) che usava mio nonno. Dopo un mese e mezzo dalla semina si ha la fioritura dei campi della lenticchia, un esplosione di colori unica nel suo genere. Prima i campi si colorano di giallo, dopo qualche giorno mutano nel colore rosso dei papaveri e subito dopo al blu intenso dei ciclamini.

SEMINA

CAMPO DI LENTICCHIA
A fine luglio fino alla prima metà; di agosto si procede alla carpitura.
Dato che la pianta della lenticchia e troppo bassa (solo di rado supera i 30 centimetri) e molti campi sono sassosi, la carpitura richiede particolare attenzione e molto tempo. Nel passato questa operazione veniva fatta totalmente a mano, poi si è iniziato con la falce, poi si e passati all’uso delle falciatrici qualora il campo sia piano e pulito dai sassi e la pianta della lenticchia abbastanza alta e non troppo secca. Fino alla metà degli anni sessanta la carpitura veniva fatta dalle carpirine ( paragonabili alle più famose mondine del riso). Ogni anno all’ inizio della carpitura le carpirine salivano a piedi a Castelluccio dai paesi dell’Ascolano insieme ai mietitori. Ogni gruppo era guidato da un suonatore d’organetto che suonando il suo strumento accompagnava il gruppo fin sulla scalinata della piazzetta di Castelluccio ai piedi della Chiesa. In questa piazzetta la mattina si contrattava la carpitura dei campi. La contrattazione avveniva a opere. L’opera era la quantità di terreno che una carpirina doveva carpire in una giornata. L’opera di carpitura corrispondeva a 600 metri quadrati.
Durante il lavoro le carpirine usavano cantare stornelli di rimando tra loro. Spesso nei loro canti si poteva percepire un velo di tristezza a causa del duro lavoro e per la lontananza dalla famiglie. Alla fine della carpitura di ogni campo il capo gruppo metteva mano al suo organetto e lo suonava più forte che poteva in modo che le sue note arrivassero molto lontano. Il suono degli organetti era diverso uno dall’altro. Chi ascoltava le note sapeva che il suonatore era Gino o Fortunato o Flaviuccio, Capone o Scaccavella. Queste note avvisavano che il gruppo aveva finito di carpire un campo e era libero da impegni, quindi disponibile ad iniziare un altro lavoro. Le carpirine dormivano nei fienili, il padrone del campo che le assumeva doveva loro somministrare anche il vitto. Il lavoro di carpitura iniziava al sorgere del sole e terminava quando le campane della chiesa suonavano, dopo il tramonto del sole, l’Ave Maria.
Man mano che la lenticchia viene carpita o tagliata, si raccoglie in mucchietti sul campo. I mucchietti sono piccoli e disposti in lunghe file parallele, distanti tra loro quel tanto che basta per farci passare un trattore.

TREBBIATURA

TREBBIATURA
Fatti i mucchietti sul campo si lasciano per alcuni giorni ad essiccare. Per la lenticchia questo è il momento più delicato. Una pioggia abbondante potrebbe compromettere il raccolto.
Quando la lenticchia e sufficientemente secca (per facilitare la cosa, i mucchietti vengono girati più voplte) si carica con il trattore e si porta all’aia, una zona del Pian Grande vicino alla biforcazione per la strada che porta a Forca di Presta. Questa operazione si chiama “ricacciatura”.
All’aia vengono fatti dei grandi mucchi coperti con teli per proteggerli dalle piogge. Fino a quaranta anni fa a posto dei teli si usavano le coperte dei letti. Le aie viste da Castelluccio apparivano piene di colori.
Dopo alcuni giorni si procede alla "trita". Si sparge un mucchio di paglia di lenticchia per la piazza dell’aia e con "lu mazzafrustu" (utensile composto da due robusti bastoni legati tra di loro con una corda) facendolo roteare sopra la testa si batte sulla paglia di lenticchia finchè i semi non escono dai loro baccelli. Quanto la trita e particolarmente grande si utilizzano cavalli e muli. Si legano in fila gli uni agli altri. Il cavallo più vecchio e lento si mette all’inizio quello più giovane e veloce si mette per ultimo. I Cavalli e i muli si fanno trottare in girotondo sopra la paglia di lenticchia finché il seme non esce dai baccelli. Durante la trita si cantavano stornelli, tra i più ricorrenti possiamo ricordarne uno indimenticabile:
“……All’aia all’aia che la trita e messa Ognuno ci si porta la ragazza
Ognuno ci si porta la ragazza
Ad ogni mazzafrustata  una carezza……”
La fase successiva alla trita è la formazione del cantile.
Il cantile consiste nel separare la paglia della lenticchia dalla cama (la cama è l’insieme della lenticchia e della pula). La paglia viene pressata e allontanata dall’aia per essere portata al fienile, la cama viene ammucchiata. Il mucchio della "cama" che si chiama “cantile”.
La fase successiva dopo la formazione del cantile e la scamatura.
Questa operazione ha bisogno del soffio del vento. Il soffio del vento deve essere continuo ma non troppo forte. La "scamatura" si fa gettando la cama in aria controvento. Il vento con il suo soffio allontana la pula che è leggera e fa ricadere nel cantile il seme della lenticchia. Per eseguire questa operazione c'è bisogno di una particolare abilità frutto di anni ed anni di esperienza. La scamatura è fatta dalla persona più anziana ed esperta del Clan. (Ho usato questo termine “Clan” perché é usanza fare l’aia insieme agli altri parenti, anche di generazioni lontane, in modo che nell’ aia ci sia abbondante presenza di uomini, sia per lavorare, sia per difendere l’aia dai pericoli, quali il fuoco). Dal cantile che resta dopo la scamatura si può, con assoluta precisione, stabilire la resa in quintali del campo. Si infila il manico della pala nel cantile e si segna l’altezza, a questo punto lo scamatore con il palmo della mano e con le dita misura l’altezza segnata sul manico della pala: il primo palmo corrisponde al primo quintale, successivamente ogni quattro dita sono un altro quintale. Esempio: l’altezza del cantile misurato con il manico della pala corrisponde a un palmo e sedici dita, la resa del cantile è di cinque quintali di lenticchia. Per segnare e ricordare quanti quintali ha reso un campo si usava prendere un bastoncino di salvastrello e con il coltello si facevano tante tacche quanti erano i quintali.

LA TRITA

LA CONCIA
Oggi la pratica della trita con i cavalli e "mazzafrustu" è caduta in disuso. Di rado e possibile ammirare qualche vecchio contadino intento in questa vecchia pratica di lavoro. Per motivi di praticità e per la carenza di manodopera si preferisce la trebbiatura con le mietitrebbia o con la trebbia a cintone, entrambe due disdegnate e odiate dai vecchi contadini.
La fase successiva si chiama conciatura ed è affidata esclusivamente alle donne.
La conciatura si fa in cantina ed ha lo scopo di togliere gli altri semi e l’impurità dalla lenticchia. Si passa la lenticchia con la "conciajiola delle pajie" per togliere la paglia rimasta dopo la scamatura. Successivamente si passa con il "corvello"  per togliere i semi piccoli dei "sonarieji" (sono i semi dei fiori gialli che si vedono nei campi di lenticchia durante la fioritura); durante questa fase viene tolta anche la rimanenza della pula e di tutti le altre impurità. Si passa quindi al "corvello della veccia". Successivamente si passa sul “capistìu” utensile fatto con un unico tronco di faggio per la pulitura a mano. L’ultima fase della lavorazione della lenticchia e quella del confezionamento per l’invio alla vendita.
Questo racconto e dedicato alle Carpirine della lenta (lenticchia).

 

 

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