Credenze e usanze

di Castelluccio di Norcia

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La 'ntravata

La vittima era un ragazzo quando la sua ex fidanzata si sposava con un altro (o viceversa). Nelle ultime notti prima del matrimonio i ragazzi del paese nelle ore più tarde, quando tutti dormivano, chiudevano in casa il giovane o la giovane serrandogli la porta d' uscita con legna, carri, barbozze, aratri e quanti altri oggetti si riusciva e reperire. Durante il trasporto dei materiali, che doveva avvenire nel più assoluto silenzio nel passare per le vie del paese i parenti più stretti, se svegliati dai rumori, iniziavano un lancio di oggetti di tutti i tipi (escrementi compresi) per impedire la realizzazione della 'ntravata. Negli ultimi tempi (fine anni settanta) si è arrivati a murare le porte delle case per mancanza di materiale.

Giuseppe Iacorossi

La 'mpaiata

Si faceva al ragazzo quando per motivi vari si sposava con una ragazza diversa da quella che frequentava per amore. Si spargeva la paglia dalla porta dello sposo alla porta della casa della sposa, passando per la casa della ex fidanzata. Spesso avveniva che i parenti o lo sposo stesso, accortisi che gli era stata fatta la 'mpaiata si organizzavano e ripulivano per bene tutta la zona interessata in modo che la mattina successiva nessuno degli abitanti si accorgesse di quello che era successo la notte. A questo punto si ricorreva alla 'ncamata.

Giuseppe Iacorossi

La 'ncamata

La 'ncamata è del tutto simile alla 'mpaiata ed ha lo stesso significato. Si faceva con la cama della lenticchia in quanto è molto fine ed è impossibile rimuoverla senza lasciare delle tracce.

Giuseppe Iacorossi

La scampanata

Quando un vedovo o una vedova si risposavano, per sottolineare il disappunto dei paesani si usava fare una scampanata con i campani che portano al collo i manzi delle pecore e con altri oggetti metallici. Fino ai primi anni del 1900 si usava anche suonare dei corni.
Io ne ricordo una, forse l'ultima, fatta alla metà degli anni 50.

Giuseppe Iacorossi

La sassaiola

Quando una ragazza si fidanzava o flirtava con un forestiero e questo si recava a trovarla a Castelluccio, i ragazzi si appostavano in una zona dove sarebbe transitato il pretendente. Ogni ragazzo si riempiva le tasche di pietre. Quando il forestiero transitava iniziava una fitta sassaiola. Era una sorta di intimidazione che poteva ripetersi più volte. Terminava quando il forestiero si fidanzava ufficialmente.

Giuseppe Iacorossi

Le sature

Quando nel paese si verificavano dei fatti curiosi o eccezionali, i più portati alla rima componevano delle sature divertenti e gioiose, sono rimaste famose le sature di Cravari, Cincetto, Mastrupasquale.
L'ultima satura è stata composta da Gastone L. nel 1964. I soggetti erano cinque ragazzi Castellucciani e tre ragazze forestiere maestre elementari al paese.

Giuseppe Iacorossi

Sfascià j òcchiu (Togliere il malocchio)

Quando una persona si sente male, si siede davanti ad un tavolo toccando con la mano un piatto contenente acqua.
Di fronte c'è la persona che toglierà il maleficio con una pratica antichissima fatta di gesti e parole specifiche, pratica che viene tramandata la notte di Natale.
Con gesto sicuro, la persona iniziata a tale rito (generalmente donna, spesso anziana) intinge il mignolo per tre volte nell'olio, dopo aver recitato delle incomprensibili frasi a mezza bocca ed aver fatto svariati segni di croce al sofferente, al piatto, a se stessa e al collo della bottiglia contenente l'olio. Lascia cadere le gocce nel piatto e a seconda del comportamento dell'olio reputa se il malocchio è presente oppure no.
Viene poi buttata l'acqua fuori in modo che venga calpestata da passi altrui. Secondo alcuni in modo che il malocchio sia distrutto (PAOLUCCI, 1967), secondo altri in modo che il malocchio venga trasferito al primo passante (CORDELLA e LOLLINI, 1988).

Le sdréghe

Si credeva all'esistenza di alcune donne che di notte, assumenvano le sembianze di un gatto per succhiare il sangue alle persone o fare dispetti in generale. Solamente ponendo una scopa davanti all'uscio, si poteva evitare che entrassero in casa, perchè costrette a contare le pagliuzze della scopa (CORDELLA e LOLLINI, 1988).

La parata

In uso per varie cerimonie religiose, ma soprattutto per i matrimoni si offrono all'uscita della chiesa, liquori e dolci a tutti i passanti (invitati e non). Per quanto riguarda il matrimonio, il cerimoniale prevedeva che la sposa, con il capo ricoperto da un asciugamano, si inginocchiasse sulla soglia della casa, davanti alla suocera che le dava il benvenuto con un bacio. Questa usanza è oramai in disuso (CORDELLA e LOLLINI, 1988).

La comparsa

Con il cavallo, i promessi sposi si recavano a Norcia per le pratiche civili da espletare ai fini del matrimonio. Un tempo venivano accompagnati fino alla fonte con l'organetto e il sonarello ("lu sonariéiu"), poi cena per tutti a casa dello sposo. Dopo una settimana, cena a casa della sposa (CORDELLA e LOLLINI, 1988).

Lu surigu (il solco) e la fazzolettata

La notte prima di Ferragosto, i ragazzi, per conquistare le donne, provavano a tracciare con un aratro un solco più diritto possibile in uno dei terreni immediatamente adiacenti il paese. Questo, necessitava di una grande abilità, proprio perchè veniva fatto di notte e serviva a dimostrare alla donna che aveva di fronte un uomo che sarebbe stato in grado di mantenere la futura famiglia con la produzione agricola.
La mattina successiva, lo spasimante si presentava alla donna che avrebbe voluto conquistare, con un fazzoletto bianco pieno di pere (considerate all'epoca una leccornia). Durante la terza domenica di settembre, in occasione della festa dell'Addolorata, se la donna riteneva di accettare il corteggiamento riconsegnava il fazzoletto allo spasimante con un ricamo ed un dolce (di pan di Spagna) preparato apposta per lui. Questa restituzione avveniva in occasione di una festa da ballo che si svolgeva alla "comunanza", festa durante la quale sopra un palco venivano messe due sedie appannaggio esclusivo della coppia più affiatata. Vale la pena ricordare che alla festa le donne si recavano solo dopo aver ricevuto l'autorizzazione del padre e con l'accompagno di un familiare che doveva salvaguardare il loro onore. (In uso fino agli anni '30).
Testimonianza di nonna Costanza (classe 1910).

Walter Testa

Miralujalle (Mira al gallo)

E' una gara che si svolge ogni anno la sera di San Lorenzo (10 Agosto). E' organizzata e gestita dai Santesi (festaroli) di mezz'agosto. Si lega un Gallo vivo su una tavoletta con le ali ben ferme e racchiuse. Si posiziona il gallo in mezzo alla piazzetta. Chi vuole partecipare alla gara, lo può fare dopo aver corrisposto un premio ai Santesi. Il concorrente viene bendato e viene costretto a girare su se stesso allo scopo di disorientarlo, poi gli si mette in mano una lunga e pesante pertica con la quale deve cercare di toccare il gallo legato a terra. Se ci si riesce il gallo e suo. Il pubblico presente partecipa con urla e schiamazzi allo scopo di aiutare o disorientare ulteriormente il concorrente. Possono partecipare tutti. Nelle ultime edizioni hanno preso parte anche le donne. Attualmente per rispetto agli animali, viene usato un gallo finto che suona quando viene toccato.

Giuseppe Iacorossi

Jiummelletta

Si giocava tra più bambini. La materia prima erano i bottoni.
I bottoni, avevano una valutazione propria es.
un bottone di metallo dorato di cappotto militare valeva 10 bottoni di camicia;
un bottone di metallo dorato di giacca militare valeva 5 bottoni di camicia;
un bottone grande di osso, di legno, o di plastica valeva 6 o 7 bottoni piccoli dei pantaloni.
Le quotazioni variavano di giorno in giorno come avviene appunto per le valute monetarie. Nessuno di noi aveva in mente o si immaginava che esistesse un mercato mondiale cosi simile a quello dei nostri bottoni.
Si stabiliva quanti bottoni si dovevano mettere, poi si faceva la conta. Si segnava un cerchio abbastanza grande. Il sorteggiato si sistemava al centro del cerchio, prendeva tutti i bottoni in una mano, li sistemava a piacere poi ricopriva con l'altra mano. Il giocatore faceva assumere alle mani una posizione a guscio di noce creando all'interno uno spazio utile a mescolare i bottoni agitando vigorosamente. Ad un certo punto gettavano in aria i bottoni e quando questi toccavano terra si controllava la loro posizione. Tutti quelli che erano caduti al verso giusto passavano nelle tasche del giocatore, quelli che cadevano fuori dal cerchio e gli altri passavano nelle mani del secondo giocatore. Si poteva giocare anche con i soldi, la regola era la stessa. Quando toccavano terra, quelli con la testa visibile e dentro il cerchio passavano nella tasca del giocatore (erano la vincita) gli altri passavano al secondo giocatore che ripeteva tutte le mosse, cosi al terzo, al quarto fino alla fine della posta.
Questo gioco si praticava tutto l'anno. E' stato in uso fino agli anni settanta.

Giuseppe Iacorossi

Lu piripisse

Fatto con legno di faggio ha quattro faccie e due lati, uno inferiore ed uno superiore. Nel lato inferiore al centro e presente una punta in quello superiore al centro è presente un rialzo che permette la presa con due dita per dargli la spinta necessaria a farlo girare velocemente su se stesso. Su ogni faccia è incisa una lettera: M=Mitti; N=Niente; P=Pizzico; T=Tutto.
E' una sorta di roulette, si giocava in più bambini la posta erano i bottoni. Quando finiva di girare lu piripisse si adagiava su una faccia e in quella opposta compariva una delle quattro lettere. Se la lettera era M si dovevano mettere altri bottoni sulla posta, se la lettera era N non si dava corso a nessuna operazione, se la lettera era P si prendeva una pizzicata di bottoni dalla posta usando il pollice e l'indice, se la lettere era T allora si vinceva tutta la posta e si ricominciava a giocare ricomponendola.

Giuseppe Iacorossi

Gioco dello zzipidì

Si giocava tra bambini con i bottoni. Si disegnava un cerchio piccolo in terra poi da una distanza, stabilita precedentemente tra i giocatori, si gettavano i bottoni verso il cerchio cercando di farli cadere il più vicino possibile al cerchio. Si controllavano le distanze e si stabiliva una precedenza. Il giocatore che aveva gettato il bottone il più vicino alla riga della cerchio o all'interno di esso aveva il diritto di iniziare il gioco.
Il gioco consisteva nel colpire il bottone che era il più distante dal cerchio con le dita della mano per tre volte consecutive, ogni volta che si colpiva il bottone si pronunciava la frase: al primo colpo "zzipidì", al secondo colpo "zzipidà", al terzo colpo "allacatà", a questo punto se il bottone finiva al interno del cerchio si aggiungeva "in buca c'è". Il giocatore vinceva il bottone e ricominciava a giocare. Se non si centrava il cerchio il gioco passava al secondo concorrente che ricominciava il gioco dal bottone più lontano.

Giuseppe Iacorossi

Ciavatta lavora

I ragazzi e le ragazze si sedevano in terra e formavano un cerchio. Le gambe venivano tirate indietro in modo che le ginocchia si alzassero formando un angolo acuto. A questo punto si prendeva una scarpa. Un ragazzo o un adulto rimaneva in piedi e conduceva il gioco. La ciabatta o scarpa, al via del conduttore veniva passata di mano in mano facendola passare sotto le ginocchia in modo di renderla invisibile a chi conduce il gioco. Ogni giocatore cercava di passare la ciabatta all'altro in tutta fretta. Il ragazzo che dirigeva il gioco interrompeva improvvisamente e a quel punto chi si ritrovava la ciabatta doveva pagare un pegno. Pegno che veniva stabilito dal conduttore e che a sua discrezione variava da uno, due, tre quattro o anche più colpi con la ciabatta sul sedere. Quando il conduttore colpiva il sedere con la ciabatta tutti in coro dicevano a voce alta "ciavatta mia lavora" e la ciabatta si abbatteva sul sedere del malcapitato. Il pegno poteva anche essere di altra natura, ossia il conduttore stabiliva che la ciabatta doveva essere baciata, naturalmente era, non a caso, sporca, impolverata e maleodorante, chi rifiutava poteva chiedere al conduttore del gioco di baciare un ragazzo presente nella stanza. Questa richiesta poteva essere accettata o rifiutata dal conduttore e a sua discrezione poteva variare o cambiare. Il ragazzo che conduceva il gioco era di solito quello più simpatico divertente e smaliziato. Prima del gioco qualche ragazzo, di nascosto gli prometteva un compenso se durante il gioco gli dava il pegno del bacio e gli suggeriva il nome della ragazza che voleva baciare. Oppure, per far dispetto si indicava una ragazza che non voleva essere baciata, a questo punto il gioco si faceva divertente. Naturalmente i baci erano sulle guance. Si praticava soprattutto durante le lunghe serate invernali e nelle poche occasioni che i ragazzi e le ragazze potevano stare insieme.

Giuseppe Iacorossi

Limma

Si giocava con due bastone di sorefa (sorbo) o di salvastrello. Un bastone era della lunghezza di circa 50 cm ben levigato e dritto, serviva anche come unità di misura, l'altro di circa 20-25 cm aveva le due estremità quasi appuntite, queste estremità si chiamavano "bischi". Il legno più corto era la limma. La limma si giocava in due modi, uno detto a "pizzo de cocca" e l'altro detto a "buca". I giocatori di solito erano in due ma il numero poteva essere maggiore. Vinceva chi riusciva per primo a raggiungere una posta che veniva quantizzata in un numero es. 500 bastoni.

Giuseppe Iacorossi

Gioco a Pizzu de cocca

Si segnava a terra un cerchio abbastanza grande, si faceva la conta per stabilire che doveva giocare per primo. Il primo giocatore, con un piede dentro il cerchio e l'altro fuori prendeva il bastone più lungo nel palmo della mano e con l'indice e l'anulare, della stessa mano, stringeva la limma per un bisco e la faceva basculare più volte finchè la lanciava in aria; a questo punto con il bastone doveva colpire la limma e scagliarla il più lontano possibile. Alcuni giocatori provetti riuscivano a scagliare la limma ad una distanza di circa cento metri (ricordo Gastone detto il pescarese amico e compagno di giochi che riusciva a scagliare la limma ad oltre cento metri). L'avversario doveva raccogliere la limma e la doveva lanciare a mano verso il cerchio cercando di centrarlo. Se la limma restava all'interno del cerchio il gioco passava di mano, se la limma si fermava nei pressi del cerchio si misurava, con il bastone il numero dei bastoni necessarie a coprire la distanza. Se il numero dei bastoni era es. 6 il giocatore aveva a disposizione sei bischi da battere sulla limma. Colpendo la limma sui bischi con il bastone questa schizzava in aria, a questo punto il giocatore cercava di colpire violentemente la limma cercando di mandarla il più lontano possibile dal cerchio, questa azione si ripeteva per 6 volte. Finito di battere i bischi si misurava quanti bastoni c'erano tra la limma e il cerchio. Il giocatore che raggiungeva per primo il numero di cinquecento bastoni vinceva la sfida.

Giuseppe Iacorossi

Gioco a Buca

Si differenzia da "pizzu de cocca" solo nella parte iniziale, qui non si ha il cerchio ma si parte da due sassi rialzati posti ad una distanza di poco inferiore a quello della lunghezza della limma. La limma viene posizionata con i bischi che poggiano sui sassi, a questo punto il giocatore colpisce con il bastone la limma scagliandola lontano. In questo gioco la distanza a cui si riesce a scagliare la limma è molto inferiore a quella di "pizzu de cocca". Per questo motivo il giocatore rimane con il bastone in mano e quando l'antagonista cerca di gettare la limma verso i sassi esso può colpirla prima che tocchi terra. Se la limma resta ad una distanza dai sassi inferiore alla lunghezza di un bastone il gioco passa all'avversario. Il gioco della limma era praticato all'avvicinarsi della pasqua e la posta in gioco erano le uova sode e colorate che si ricevevano in dono.

Giuseppe Iacorossi

Bibliografia:
PAOLUCCI L., 1967 - La Sibilla Appenninica. Leo S. Olschki Ed. FI:XI
CORDELLA R., LOLLINI P., 1988 - Castelluccio di Norcia il tetto dell'Umbria. Parrocchia di S.Maria Assunta Ed. Castelluccio di Norcia (PG).

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