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Aspetti culturali della tradizione dei faùni di S.Lucia e di S.Antonio Abate
Di Giuseppe Iacorossi
Per chi non conoscesse Castelluccio di Norcia, dirò che questo paese che mi ha dato i natali si trova in Umbria, ai piedi del Monte Vettore, a 1500 metri s.l.m. sulla catena dei monti Sibillini, nel cuore del Parco Nazionale.
Questo paese, a causa della sua posizione geografica, e dei lunghi inverni nevosi, ha vissuto sino agli anni settanta un perenne isolamento mantenendo usanze e tradizioni, in parte ancora in uso, che si perdono nella notte dei tempi.
Ho trascorso la mia giovinezza vivendo le varie ricorrenze ed ascoltando dalle persone anziane del borgo, dalla mia vecchia nonna e nelle osterie racconti e favole sulle Fate dei Sibillini, sui Cavalieri Erranti, sui Maghi e sulle Streghe.
Questi personaggi un tempo frequentavano i Sibillini e spesso hanno dato vita a incredibili storie d'amore d'intensa passione e a incantesimi (vedi il libro “il Guerin Meschino”, le avventure di un Cavaliere errante che parte dal vicino Oriente "un Templare" e termina le sue gesta in Irlanda; scritto nel tardo Medio Evo; molti libri, di recente pubblicazione e di grande successo assomigliano molto al nostro libro): le Fate, donne bellissime e per l'effetto di un incantesimo destinate all'eterna giovinezza, ambivano ad ammaliare qualsiasi uomo per condurlo alla perdizione; i Cavalieri, anche provenienti da paesi lontani, (è stata accertata la presenza sia di Cavalieri Franchi che Teutonici) in cerca di avventure e alla scoperta dei segreti custoditi nella grande grotta dalle Fate; (La leggenda dice anche che le fate sapessero dove era custodito il Santo GRAAL) i Maghi e le Streghe che si riunivano per celebrare i loro sabbah sulle rive del Lago di Pilato.
Le leggende e le usanze di Castelluccio spesso, ancora oggi, si intrecciano con la realtà, come avviene per i “Faùni” , parola che in dialetto locale significa “grandi fuochi” ma che in realtà ricorda i “Fàuni”, antiche divinità Italiche protettrici dei campi e delle greggi, raffigurati con orecchie appuntite, corna e piedi caprini, analogamente al Dio Pan con il quale vengono ad identificarsi (è interessante notare che anche le Fate dei Sibillini, nei racconti che si tramandano a Castelluccio, hanno i piedi caprini, proprio come i Fàuni).
I “faùni”, (grandi fuochi) si celebravano:
“lu faone de Santa Lucia (detto lu fuchittu de Santa Lucia)” la notte tra il 12 e 13 dicembre, cioè la notte più lunga dell'anno;
“lu faone de Sant'Antonio Abate”, protettore degli animali, la notte tra 16 e il 17 gennaio, (un detto popolare dice che finisce il periodo più freddo dell'anno). Nei racconti popolari si dice che in questa notte tutti gli animali parlassero al Santo per dirgli se il padrone li maltratta, per questa credenza la sera di Sant'Antonio a tutti gli animali, anche adesso, viene somministrata una buona razione di biada e la mangiatoia viene riempita con abbondante e ottimo fieno.
Oggi per esigenze di partecipazione la festa dei faùni si celebrano la sera del Sabato, o della festa, più vicina alla data originale.
Il Faone di Sant' Antonio era di grandi dimensioni, sia in larghezza che in altezza: infatti doveva essere alto almeno sei metri e largo quattro. I fasci di frasche che lo componevano erano disposti in modo circolare e ordinati uno sopra l'altro, formando una piramide che lasciava spazio, al suo interno, ad una cavità dove venivano disposte della paglia e delle raffigurazioni di animali fatte di stoffe e impagliate. Durante queste celebrazioni si cantava una canzone incomprensibile e senza senso (per me). Nell'euforia generale, sprigionata dai bagliori e dalle ombre arcane provocate dal fuoco e dai canti, i più anziani incitavano i bambini a vedere tra le fiamme “lu purchittu (maialino) de Sant' Antonio”, e nelle faville che si alzavano colorate nella notte, li fullitti, (i folletti) che liberati dalle fiamme, tornavano liberi a popolare i boschi.
Nell'eccitazione che ne conseguiva, c'era chi diceva di averne visti veramente, chi “li fullitti” chi “lu purchittu”.
Molto probabilmente queste celebrazioni erano feste pagane sopravvissute ai tempi e cristianizzate. E' certo che durante queste feste si sacrificavano degli animali ai Fàuni per propiziare la loro protezione sulle greggi e sui campi.
La mattina successiva al “faone di Sant Antonio”, si donava ai bambini una salsiccia dalla forma rotonda, e un dolce, sempre di forma rotonda dette "le ciammellette de Sant'Antonio" dicendo loro che era un dono di Sant' Antonio Abate. I ragazzi e i bambini avevano un' importanza fondamentale nella realizzazione dei “faùni” in quanto, il giorno della ricorrenza, passavano di casa in casa cantando: “fraschìschì pè Santa Lucia sennò te fa cecà la meo callina”; oppure: “fraschìschì pè Santantò sennò te fa cascà a capu penegnò”. Ogni famiglia dava un fascio di legna o frasche che i ragazzi portavano alla piazzetta davanti alla Chiesa dove un anziano preparava con cura lo scheletro del falò che, finita la funzione religiosa della sera, si accendeva.
Durante l'inverno si facevano altri “fàuni”, come quello di Sabatino il 17 gennaio in prima sera e quello della Madonna di Loreto la notte del 9 dicembre. Questi due “fauni” erano di produzione e celebrazione religiosa e privata, molto piccoli con poca legna. Il primo veniva fatto da una famiglia di Castelluccio in un lato della piazzetta per ricordare una grazia ricevuta da Sant'Antonio. Il secondo veniva fatto da alcune donne, non sempre nello stesso posto e non tutti gli anni, a volte sul Cassero, altre, quando il tempo e la neve lo permettevano, dalle parti del Pian Perduto. La leggenda dice che questo falò serviva ad indicare la strada agli angeli che trasportavano la Santa Casa della Madonna dalla Palestina al colle di Loreto. Il falò dedicato alla Madonna di Loreto non fa parte delle tradizione Castellucciana ma dei paesi limitrofi, specialmente di Norcia e Case Sparse.
Un'altra usanza che si intreccia con i fauni e quella dell'iniziazione a”sfascià j'occhiu” (togliere il malocchio): la donna che deteneva l'antica formula, per motivi di età decideva di tramandarla ad una sua discepola la sera del faone di Santa Lucia (la notte più lunga dell'anno), davanti al faone, nel momento in cui le fiamme erano più alte, gettavano tra le fiamme un sacchetto di pelle di montone nel quale c'era il biglietto con le frasi magiche che la novizia aveva imparato a memoria oltre ad altre cose che facevano parte del rituale. L'iniziazione si concludeva la notte di Natale dove avveniva l'ultimo atto della trasmissione dei “poteri”, alla fine della cerimonia la donna anziana chiamava per nome numerosi santi ed ad ogni nome ci aggiungeva un merito del santo e un invocazione, la novizia ripeteva i nomi dei santi i loro meriti e ne chiedeva la loro protezione e ne lodava le virtù (anche qualche uomo di tanto in tanto viene iniziato alla pratica per ”sfascià j'occhiu” ma è raro ed eccezionale, chi scrive è uno di questi).
Si tramanda che a Castelluccio durante il Medioevo e tardo Medioevo vi era un guardiano, con il compito di reprimere la diffusione dei riti magici e con il potere di arrestare, tutti coloro che si recavano o venivano trovati sulle rive del lago di Pilato a officiare riti magici.